Lunghi respiri




 
Se fossi un libro io mi disporrei in fondo agli scaffali, nella fila dei classici, tra madame Bovary e Cime tempestose, tra Anna Karenina e Piccole Donne. Ti farei ingiallir le mani, così da sembrar innocuo, aver la nostalgia come odore e la passione come tocco ruvido di copertina. 
Se fossi un libro squarterei l'anima di chi prova a leggermi con fretta e darei sollievo a chi, invece, mi prende per quel che sono: animo inquieto in cerca di braccia ferme. Gli occhi che mi leggeranno saran prima timidi e poi supefatti, avran terrore della mia storia, piangeranno e si diranno di smettere, mi riporranno in uno scaffale a prender polvere sul viso, perché se fossi un libro io farei male al cuore, lo prenderei tra le mie labbra e lo morderei in maniera atroce, per poi sentirmi in colpa ed andar a levigare l'anima. Solo l'anima.
Se fossi un libro vorrei far venire il vuoto al ventre, far sentire il peso del mondo, far perdere chi non si vuol trovare. 
Se fossi un libro non mi si leggerebbe tutto d'un fiato, graffierei così forte le pareti dell'inconscio che l'agonia durerebbe mesi, anni, forse secoli. 
Se fossi un libro affascinerei e farei sentire il piacere nel sotto ventre, farei morire nella passione, farei arrivare il mio possessore all'estasi, lo farei godere tra una piega e l'altra.
Se fossi un libro infliggerei pena e darei subito dopo la cura, mi accosterei ai palmi tramanti delle mani che mi sorreggono e fotogreferei le labbra che s'incurvano nel dolore e nell'estasi, nel piacere e nel rinnego.
Se fossi un libro vorrei parlar in maniera silenziosa, tanto da far dimenticare tutto ciò che si è detti, costringendo, così, a farmi leggere in eternità.


*

Ho comprato quel nuovo vestito
per cambiarmi nei giorni di festa,
come avrebbe voluto mio padre
e mia madre sarebbe contenta.
Io lo so, questo sa di provincia
come un coro di bimbi alla messa
o le paste per tutti in famiglia
o, al Caffè, la partita a biliardo.
È provincia, lo so, per davvero,
ma la fretta mi sfianca e mi uccide
e ho deciso che non c’è più meta
navigando fra i volti che incontro.
La città sembra un bosco incantato
le corriere hanno rughe di gente
so che vivere controcorrente
male fa, ma è un sentiero obbligato.
E così ho coltivato un’aiuola,
un’aiuola che incontri a un incrocio
han pensato che fossi uno scemo,
ma scappavano: avevano fretta.
Nell’aiuola ho piantato i miei sogni
costruito una casa di legno,
dove scrivo le storie che sento:
ma mi manca il finale a sorpresa
Solo tu sei colei che si ferma
a ascoltare le parole contorte
quelle che riesco ancora a cantare:
perché abbiamo una pelle che vibra.
Mi ricordo di te da ragazza,
con la gonna agitata dal vento:
m’incantava il sorriso gratuito
caldo quanto una dolce carezza.
Ed è vero, mi dici, s’invecchia,
ma vedere che il vento negli occhi
sia lo stesso del tempo che è stato,
è sentirmi attaccato alla vita.
Sai che c’è: a volte un viaggio finisce
e la fine ti sembra banale
io vorrei rimanere a sognare,
io vorrei rimanerti a sognare
calda e dolce, e perenne nel tempo
anche se fossi altrove o non fossi
e trovar le tue rughe più belle
in chi incrocio, anche fosse per caso….


*


Un uomo invaso dalla solitudine pagherebbe fino a trenta denari per diventare una scritta sul muro di un antico palazzo senza portiere.
Il Rag. Garuti da due giorni fa bella mostra di sé sul muro del suo palazzo. 
Si è scritto da solo che è un CORNUTO. La gente che passa osservando la scritta scuote la testa e sussurra nel proprio cappotto che non vorrebbe mai abitare in un posto così. 
Neanche s...e ci fosse un portiere discreto che dispensa sorrisi e corrispondenza rifiutando con decisione i depliant pubblicitari. 
Sono cicatrici d’inchiostro le scritte sui muri che dicono T’AMO oppure TROIA. 
Chi dice: “Delle due l’una” sbaglia di grosso.
Le due cose possono coesistere. Ovviamente ci vuole una buona predisposizione alla tolleranza.
Ci sono prodotti, a onor del vero molto costosi, che hanno il compito di cassare le scritte sui muri. 
Nessuno li compra, potremmo dire mancanza di tempo, andiamo tutti troppo di fretta.
Ci sono palazzi che senza le scritte sarebbero chiese con la gente che prega parole di fede che altri calpestano.
Profumi di femmina allegati a riviste da teenager hanno eletto domicilio su gote di veline di periferia. 
Dicono: “Sono io quella della scritta TI AMO GENNY. Mi chiamo Genny io, scusami, My name is Genny, come Gennyfer Lopez, suona meglio. 
Lui mi ama e questa è la prova d’amore che gli avevo chiesto.
Prima mi faccio portare da Spizzico e poi gliela darò, ho sedici anni, mi piace Justin Bieber (me lo farei) e non sono superstiziosa. 
Ramon, Cubano originario di Cienfuegos, non diventerà mai come Keith Haring. 
Lui lo sa ma continua a scrivere HASTA LA VICTORIA SIEMPRE sul muro del bordello.
In testa una rivoluzione, nello zaino due bombolette. Una rossa e una nera.
Ha una donna Ramon. Che si dà all’Avana per pochi dollari e una finta Lacoste a imprenditori della Bassa in vacanza premio. 
Quando fa l’amore ride sperando un giorno di diventare famosa come Omara Portuondo in Buena Vista Social Club.
E mentre lo fa canta e più di uno le ha detto che ha una bella voce.
Le scritte sui muri sono verità scomode come dire DEL PIERO FIDANZATO DI TOTTI. 
L’ho vista io, sul muro di una caserma dei pompieri in via Marmorata, zona Piramide a Roma.
Non durano in eterno le scritte sui muri perché i muri vengono giù e il sole attraversa le coscienze dei popoli o di quello che resta di un popolo decimato dall’embargo e dalla dissenteria. 
DIO C’E’ significa che se giri intorno al palazzo trovi dell’erba da fumare. 
La qualità dipende dalla serietà del pusher. 
Un buon pusher per tre volte almeno ti dà la roba migliore che ha. 
Dopo ti fotte perché ce l’ha nel DNA che ti deve fottere. 
Allora tu cambi zona e, in certi casi, puoi smettere anche di fumare perché, se è vero che lui vuole fottere te, tu non sei mica uno che si fa fottere facilmente! 
E con uno spray leggero, tendente al celeste, scrivi sul muro di un asilo: DIO C’ERA.
E dici “‘fanculo tutti i pusher!”.
La scritta più vecchia che ricordo recitava W LA DEMOCRAZIA CRISTIANA.
Come dire W la fica o W Zapata. 
“Noi e voi siamo uguali, siamo tutti un fascio” disse Mirko Tremaglia a inebetiti Italiani d’Argentina. Parlava del diritto di voto e di conquiste sociali mentre si grattava il pacco. 
Ci sono palazzi intonsi dove poter scrivere comodamente NO ALLA GUERRA in Verdana 36. 
Ne leggeremo a decine di scritte così ma solo per poco tempo, poi tutto verrà giù con le bombe che, per quanto possano essere intelligenti, non sanno ancora leggere. 
“Qui tutti parlano, parlano o peggio scrivono, scrivono. E’ cultura universale o biblioteca comunale?” Ivano Fossati dall’album “Lampo Viaggiatore”. 
Ora sto ascoltando la traccia n° 3. 
Racconti, poesie, scritte sui muri, le ricette dei dottori, le contravvenzioni, l’inventario di un negozio di ferramenta, un riassunto delle puntate precedenti. 
Una mano tremante ha scritto sul muro di un cinema la parola AIUTO.
Qualcuno ha risposto “Ce l’hai con me?”. 
Quando passa la metro la mia casa trema un po’. 
Passa oggi, passa domani, si finisce col sentirsi sempre meno sicuri.



*



“Dai un appuntamento ad una ragazza che legge. Dai un appuntamento ad una ragazza che spende il suo denaro in libri anziché in vestiti. Lei ha problemi di spazio nell’armadio perché ha troppi libri. 
Dai un appuntamento ad una ragazza che ha... una lista di libri che vuole leggere, che ha la tessera della biblioteca da quando aveva dodici anni. 
Trova una ragazza che legge. Saprai che lo fa perché avrà sempre un libro ancora da leggere nella sua borsa. E’ quella che guarda amorevolmente sugli scaffali di una libreria, quella che tranquillamente emette un gridolino quando trova il libro che vuole. La vedi odorare stranamente le pagine di un vecchio libro in un negozio di libri di seconda mano? 
Questo è il lettore. Non può resistere dall’odorare le pagine, specialmente quando sono gialle. Lei è la ragazza che legge mentre aspetta in quel caffè sulla strada. Se dai una sbirciatina alla sua tazza, la sua panna non proprio fresca galleggia in superficie perché lei è già assorta. Persa nel mondo dell’autore. Siediti. Potrebbe darti un’occhiataccia, poichè la maggior parte delle ragazze che leggono non amano essere interrotte. Chiedile se le piace il libro. Offrile un’altra tazza di caffè. Falle sapere ciò che tu davvero pensi di Murakami. Vedi se sta leggendo il primo capitolo di Fellowship. Cerca di capire che se dice che ha compreso l’Ulisse di Joyce, lo sta solo dicendo perché suona intelligente. Chiedile se ama Alice o se vorrebbe essere Alice. 
E’ semplice dare un appuntamento ad una ragazza che legge. Regalale libri per il suo compleanno, per Natale e gli anniversari. Falle il dono delle parole, in poesia, in musica. Regalale Neruda, Pound, Sexton, Cummings. Falle sapere che tu comprendi che le parole sono amore. Capisci che lei sa la differenza che c’è fra i libri e la realtà ma che per dio, lei sta cercando di rendere la sua vita un poco simile al suo libro preferito. Se lo fa, non sarà mai colpa tua. Ha bisogno di essere stuzzicata in qualche modo. Mentile. Se comprende la sintassi, capirà che hai la necessità di mentirle. Oltre le parole, ci sono altre cose: motivazione, valore, sfumature, dialogo. Non sarà la fine del mondo. Deludila. Perchè una ragazza che legge sa che il fallimento conduce sempre al culmine. Perché le ragazze come lei sanno che tutto è destinato a finire. Che tu puoi sempre scrivere un seguito. Che puoi iniziare ancora e ancora ed essere nuovamente l’eroe. Che nella vita si possono incontrare una o più persone negative. Perché essere spaventati da tutto ciò che tu non sei? Le ragazze che leggono comprendono che le persone, come i caratteri, si evolvono. Eccetto che nella serie di Twilight. Se trovi una ragazza che legge, tienitela stretta. Quando la trovi alle due di notte stringere un libro al petto e piangere, falle una tazza di the e abbracciala. Potresti perderla per un paio d’ore ma tornerà sempre da te. Lei parla come se i personaggi del libro fossero reali perché, per un po’, lo sono sempre. Chiedile la mano su una mongolfiera. O durante un concerto rock. O molto casualmente la prossima volta che lei sarà malata. Mentre guardate Skype. Le sorriderai apertamente e ti domanderai perché il tuo cuore ancora non si sia infiammato ed esploso nel petto. 
Scriverete la storia delle vostre vite, avrete bambini con strani nomi e gusti persino più bizzarri. Lei insegnerà ai bimbi ad amare Il Gatto e il Cappello Matto e Aslan, forse nello stesso giorno. Camminerete insieme attraverso gli inverni della vostra vecchiaia e lei reciterà Keats sottovoce , mentre tu scrollerai la neve dai tuoi stivali. 
Dai un appuntamento ad una ragazza che legge perché te lo meriti. Ti meriti una ragazza che possa darti la più variopinta vita immaginabile. Se tu puoi solo darle monotonia, e ore stantie e proposte a metà, allora è meglio tu stia da solo. Se vuoi il mondo e i mondi oltre ad esso, dai un appuntamento ad una ragazza che legge.
O, ancora meglio, dai un appuntamento ad una ragazza che scrive”.



*




 Che ci fa un lupomannaro in città?

Un urlo agghiacciante squarciò l’aria ed il silenzio che ammantava la città tutta ancora dormiente.
Erano le due di notte e papà si stava fumando una sigaretta sul balcone di casa.
Per il vero, di nascosto da mamma che ,invece, dormiva profondamente nel letto, ignara di tutto.
Era una splendida notte d’estate e babbo , quasi sempre insonne, approfittava di quei rari momenti di quiete, per respirare non solo l’aria pura che si era d’improvviso levata, ma anche il fumo di quella sigaretta che pareva ancor più allettante e gradevole poiché celata agli occhi altrui.
Lui del resto amava trasgredire o farsi del male, comunque sia, si infilava sotto la tapparella ,opportunamente abbassata, aspettava che mamma si addormentasse, ed in silenzio, compiva il suo atto” da codice penale”.
Riusciva così a farla franca; del resto, se mamma l’avesse scoperto si sarebbe alterata oltre modo.
Ma quello urlo improvviso ed inaspettato, lo fece sobbalzare, sicché spaventato a morte, si fiondò d’istinto in camera dimentico , però della tapparella.
Picchiò pesantemente la testa contro e il rumore prodotto , svegliò mamma che lo beccò in flagranza di reato e cioè con la sigaretta tra le labbra.
Le sue grida forse superarono di gran lunga quelle del presunto licantropo che probabilmente, spaventato scappò a gambe levate… , ma battute a parte, mamma tuonò :
”Ah! Dunque stavi fumando?..., Domani lo dirò al medico e vedrai che bella partaccia ti farà!”
“No!, il medico no!”- implorò papà-, preoccupato oltremodo; del resto, sapeva bene cosa lo aspettava.
Strano a dirsi…il medico di famiglia altro non era che un omuncolo alto circa un metro e cinquanta contro il metro e ottanta di mio padre.
Ma babbo, comunque sia , dimentico della sua superiorità fisica, di lui aveva un terrore sacro come quello dell’elefante nei confronti del topo… e ,sebbene, papà avesse avuto sempre un carattere quanto mai tosto e grintoso, lo temeva oltremodo.
Il dottorino che papà definiva come un fetente, non era solo piccolo e brutto , ma quanto mai bellicoso e severissimo nei riguardi dei pazienti che non seguivano alla perfezione i suoi dettami e non solo.
A chi trasgrediva, paventava futuri molto perigliosi, approfittando così spudoratamente del suo potere.
“Maledetto licantropo- ripeteva tra sé papà- mi rovinerà la vita a lungo andare”, ma in compenso smise di fumare.
Ma chi era in fin dei conti questa specie di immonda bestia che si aggirava circospetta nelle vie della città, seminando il terrore tra la gente? E quel che è peggio di notte?
Mia zia l’aveva incontrato più volte per la strada ma anche in altri orari.
Egli ,dunque, espletava le sue performances ad effetto in qualsiasi momento del giorno.
Quella sera mia zia stava andando , per l’appunto, a fare acquisti in un negozio di
Abbigliamento, quando lo vide arrivare.
Era orrendo, curvo, con grandi mani e un’andatura scimmiesca…(così almeno lei mi raccontava)…pieno di peli e scuro in viso.
Tentò di aggredirla, ma lei più svelta di lui, riuscì ad entrare nel negozio più vicino.
Il commesso che lo vide arrivare dietro la zia, impallidì di colpo e provvide in tutta fretta ad abbassare la saracinesca aiutato dalla stessa povera zia in preda a un puro ed autentico terrore.
L’orrendo , invece, era rimasto fuori e si rotolava per terra colto da un’ira a dir poco bestiale; ma , mentre urlava ,era a tal punto esagitato, che la sua voce stranamente sembrava si fosse trasformata in una grassa risata.
Io ascoltavo il racconto di mia zia perplessa e preoccupata; ma altri ,parenti o amici, davano spiegazioni più scientifiche e rassicuranti sul così detto mostro.
Molto probabilmente, egli era forse solo un uomo affetto da attacchi di asma e, dunque, preso da crisi respiratorie, usciva sul balcone ed inspirava aria a più non posso e, nel farlo, si udiva quel lamento così acceso.
Altri , invece, ipotizzavano che fosse né più e né meno che un burlone che si divertiva a fare scherzi quanto mai opinabili.
Papà un po’ ci credeva ma spesso rimaneva alquanto dubbioso se non addirittura scettico ed il ricordo di quell’urlo, ancora gli faceva ghiacciare il sangue nelle vene.
Dimenticavo di dirvi che tutto ciò accadeva qualche anno fa…negli anni settanta.
All’epoca, io ero poco più che una ragazzina di nove anni e mezzo intenta a godermi in pieno la mia adolescenza, ma, proprio a poca distanza di tempo , ebbi una sgradita sorpresa: era il menarca che, senza preavviso alcuno, mi venne a trovare.
Mentre guardavo atterrita nella tazza del water, le tracce di questo evento oscuro , iniziai ad urlare e , poi, chiamai mamma per comunicarle la mia morte imminente. Lei, venne verso di me, tutta trafelata, guardò ma poi sorrise e aggiunse, con aria di sussiego:
” Ma no sciocchina, sei solo diventata una signorina!”.
L’ascoltai in silenzio e ,poi, come fa un grande regista ed attore nei suoi film, alzai lo sguardo verso il soffitto e chiesi:” In che senso!”.
Mamma ribatté:” vuol dire che, ora che sei signorina potrai portare il reggiseno e le calze di nailon”.
Sobbalzai dalla gioia, mentre, sempre più esagitata, le chiesi:” Come quelle di mia cugina? In seta e con il reggicalze?”.
Quante volte l’avevo ammirata mentre si apprestava ad infilarsele con estrema cura e grazia…
“Beh! Vedremo “ rispose mamma, mentre papà esordì con un :”Che cosa?”.
Egli aveva ascoltato tutto, mentre era seduto sul divano del salotto buono con il suo giornale tra le mani.
“Ma è ancora una bambina- aggiunse con tono risoluto- niente reggiseno , né calze!
Chiaro? Non voglio dunque che se ne parli più!”.
Ci furono , invece, accese discussioni tra di loro, ma alla fine ,decisero di soprassedere…mentre io, una maggiorata di nove anni, andavo a giocare in cortile con le solite calzette bianche corte e le scarpine di ugual colore.
Ma, i compagni di giochi, ragazzetti furbi e smaliziati quanto mai, si erano accorti che qualcosa in me era cambiato ed osservavano ,compiaciuti e sorpresi, il mio seno fin troppo prorompente, proponendomi così giochetti erotici ed osando, con una scusa e l’altra, di toccarlo…
In effetti anche il mio corpo si era trasformato troppo in fretta.
Iniziai così a piangere disperata ed andai a raccontare tutto a mamma che al fine ebbe la meglio su papà.
Si addivenne al seguente armistizio : reggiseno prima di ogni altra cosa…per le calze, da me tanto agognate, si doveva aspettare.
Ora , per me, essere diventata signorina significava, solo e soltanto, portare un bel reggiseno tra l’ammirazione delle mie compagne di scuola molto più sgamate ed informate di me, che , sospirando mi ripetevano quanto mai estasiate :”Beata te!”.
Del resto, se ho qualcosa di cui vantarmi ancor oggi, è proprio il mio seno,oltre gli occhi da assassina, il nasino alla francese, la boccuccia a forma di cuore e le gambette affusolate…etc. etc.
Ed io , la bimba tutta curve, ero all’improvviso molto apprezzata ed invidiata.
E fu così che una sera, mamma mi portò in una merceria per acquistare il tanto idolatrato reggiseno; intanto, del licantropo neanche l’ombra…
Io lo volevo nero e con il pizzo, proprio come quello di mia cugina , ma, mamma, più risoluta che mai, ne ordinò uno chiaro , lineare e che avesse lo scopo precipuo di contenere le vergognose abbondanze.
E , mentre ella si intratteneva a parlare del più e del meno con la commessa , io iniziai a volgere lo sguardo curioso verso la vetrina.
Notai due manichini; erano incredibilmente la perfetta riproduzione di due bimbi vestiti in modo ineccepibile.
Rimasi estasiata…, era la prima volta per la verità, che li vedevo in un negozio e sentii così l’impulso irrefrenabile di salire anch’io su quella vetrina accanto a loro: erano alti quanto me e ,così , mi misi anch’io in posa giusto per giocare a chi rimaneva più fermo degli altri.
Restai ,quindi, immobile per qualche minuto ma ecco che, subito dopo, si avvicinarono al negozio due signore che iniziarono a fissarmi in modo imbarazzante. Una disse all’altra:” ma come li fanno bene questi manichini…sembrano veri; guarda quella in mezzo a loro (ero io) fa impressione!”.
Io rimasi impalata ed in silenzio in attesa che prima o poi se ne andassero , ma così non fu.
Altre persone arrivarono man mano che passavano i minuti…i più lunghi , forse, della mia vita…
Ed anche loro ahimé mi notarono e fecero le loro considerazioni in merito al fatto che sembravo vera, troppo vera!
Tra di loro parlottavano, anzi, direi che discutevano animatamente; uno diceva all’altro:”ma ti pare che quella sia una bambina? Se così fosse, si sarebbe già mossa prima o poi… ormai sono passati diversi minuti!”.
“E quanto scommettiamo? – ribattè l’altro-.Ah! Da qui non mi muovo-aggiunse con aria risoluta- voglio proprio vedere come va a finire”.
E , mentre lo diceva, incrociò le braccia ed assunse un’aria da saccente e strafottente.
Io ero sempre lì, con la fronte imperlata di sudore e definitivamente esausta, ma stoicamente ferma con lo sguardo fisso ed , intanto pensavo…, prima o poi se ne andranno.
Macchè! Non solo rimasero lì ,ma iniziarono perfino a fare scommesse in modo sempre più acceso, mentre altra gente, si fermava per chiedere cosa fosse successo.
Ed intanto che fluivano fiumi di parole di chi continuava a discutere animosamente, pare che anche un certo licantropo si fosse fermato a guardare dimentico di ululare, poiché distratto da tanto caos…ma , bene avrebbe fatto a gridare, giusto per disperdere tutta quella gente.
Ma ci pensò mamma quando si avvide che fuori dal negozio si era formata una calca umana di proporzioni un po’ esagerate.
Pensando che mi fosse successo qualcosa, corse fuori a chiamarmi in preda alla disperazione ed io alla fine, stremata oltremodo, scesi giù dalla vetrina facendo finta comunque sia, di nulla.
Nel mentre, sentii qualcuno che da fuori esclamava:” te l’avevo detto che quella era una bambina!Oh!”
E così finì questo mio piccolo momento di fama e gloria , se così si può dire.
Ma ero già avvezza ormai a questi brevi eventi di popolarità.
Quando avevo qualche anno in meno , ero già molto brava ad imitare la lingua americana, in più, ballavo e cantavo ed amavo esibirmi davanti ai passanti con l’ingenuità della mia tenera età…
Spesso, tanti di loro, mi offrivano caramelle e monetine anzi qualcuno addirittura mi fermava per chiedermi il bis e così alla fine, tornavo a casa carica di soldini e dolcetti di ogni tipo tra la costernazione dei miei…
Beata innocenza!
Ero ,insomma, diventata una specie di enfant prodige che, ogni giorno, attirava l’attenzione altrui ed ,ormai, per molte persone che mi ascoltavano rapite, ero definita la piccola americana.
Ed, intanto, il lupomannaro, seduto un po’ più in là nel giardinetto ove, ormai sempre più a richiesta ,esibivo le mie virtù, si sentiva escluso, messo da parte; ormai nessuno faceva più caso a lui.
Ma questa ormai è un’altra storia.
Quando avevo circa dodici anni papà decise che era opportuno che iniziassi a prendere i mezzi per conto mio alfine di raggiungere la scuola; lui era oltremodo stanco di accompagnarmi …lo aveva fatto per tanti anni,ormai, ed io accettai di buon grado la sua scelta… del resto ero diventata una signorina in tutto e per tutto, ma sebbene le mie amichette mi avessero edotto sul come nascessero i bambini, cosa che mi lasciò in stato semicomatoso per un po’ di tempo, continuai a rimanere fermamente convinta che essi nascessero sotto i cavoli.
Così almeno speravo che fosse, anzi coltivavo con passione questa mia idea , che trovavo decisamente più romantica e fantasiosa.
E fu così che un bel giorno presi il mio primo city bus da sola; era il famigerato numero sei che collega Poggiofranco con il Centro.
Ero entusiasta, poiché mi sentivo finalmente grande ed autonoma, ma di certo, non sapevo che avrei avuto le mie prime esperienze con gli attacchi di panico!!.
Furono frequentazioni così drammatiche che al loro confronto, ben poca cosa sarebbe stato per me incontrare il licantropo tanto temuto; almeno lui l’avrei saputo fronteggiare più facilmente.
Comunque sia , una volta salita sul city bus iniziai ad avere degli strani sintomi a me del tutto sconosciuti: respiravo a fatica a tal punto che fui costretta a scendere alla prima fermata per riuscire finalmente ad inalare aria in modo normale.
Riprovai ancora altre volte a prendere quel mezzo di trasporto che, ormai, si era trasformato in un incubo, ma ogni volta, mi ritrovavo al cospetto degli attacchi di panico e di quei maledetti sintomi che ritornavano sempre puntualissimi.
Assalita dal senso di morte che mi attanagliava la gola ero , dunque, di nuovo costretta a scendere.
Dopo qualche giorno, stanca di dovere fare a piedi troppa strada e ,rassicurata dal medico che sempre mi confermava che il mio stato di salute era ottimo, decisi di riprovarci.
Dunque, più rassicurata e bellicosa che mai, affrontai il periglioso viaggio sul numero sei; una volta salita mi sentii ancora attanagliata alla gola.
Accanto a me c’era una signora anziana secca ,secca e grinzosa….avevo la gran voglia di chiederle aiuto ed invece le chiesi l’ora.
Mentre lei mi rispondeva educatamente sentii che l’ansia improvvisamente stava scemando e ,così, con una scusa banale iniziai a parlare del più e del meno e mi finsi una straniera che chiede dove si trova la tal via….:”schiusmi , dove essere centro? Io, no italiana”.
La signora gentilissima e sorpresa mi spiegò tutto con dovizia di particolari ed io, intanto, notai sorpresa che iniziavo a respirare meglio, sempre di più.
E così , ogni volta che salivo sul bus, capii che, per sopravvivere, dovevo inventarmi un personaggio nuovo giusto per attaccare bottone e stare meglio.
Ora mi facevo passare per una ragazzina americana approdata a Bari per studi di architettura, o ero un’ inglesina che veniva a trovare i suoi famigliari, e, mal che vada, comunque potevo simulare di essere una romana che amava visitare i centri storici dell’Urbe.
E così , nel tempo, avevo fatto amicizia con molte persone e non solo….riuscivo ogni volta , nel mentre parlavo, a fronteggiare l’attacco di panico e a fregarlo prima che lui rovinasse me.
Spesso , però, mi capitò di incontrare sul pulman le stesse persone dei giorni precedenti, ma ormai non ricordavo più quale personaggio avevo interpretato con ognuno di loro….; e così spesso cadevo in contraddizione e loro, per primi, me lo facevano notare:”Ma come? Parli romano? Non eri mica americana?”- eccepivano giustamente- ma ,comunque sia, e figuracce a parte io stavo benone grazie a una oratoria ricca e fantasiosa.
Ma sempre sul famigerato numero sei, non incontrai solo il panico, ormai quasi del tutto debellato.
Vi è da dire che il diabolico e nefasto mezzo di trasporto arrivava alla mia fermata, quasi sempre affollatissimo e, quindi, preso d’assalto anche dai malcapitati che, come me, lo aspettavano da troppo tempo ormai sotto le intemperie del tempo; io ero una di quelli che, stremata dall’attesa , salivo trasportata da tutta quella gente che sempre più cercava di aprirsi un varco.
Spesso il pulman partiva così carico che l’autista si vedeva costretto a lasciare aperte le porte d’ingresso; e quasi sempre qualche giovane assatanato approfittava della confusione per palpeggiare le malcapitate….il seno era quello più gettonato…
E , così, quasi tutti i giorni, tra la calca, il sudore , i sussulti , gli spintoni, le grida e gli strattonamenti , i maniaci sessuali approfittavano per perpetrare atti quanto mai osceni e disdicevoli… ma non disdegnavano anche il borseggio ; del resto ,in quel caos , difficilmente uno se ne poteva accorgersene e , se lo faceva, ormai era già troppo tardi. Gli strusciamenti selvaggi, provocavano ire di non poco conto da parte delle signore e, in quei frangenti, venivano elencati tutti i santi possibili e immaginabili, ma anche i defunti non venivano risparmiati….
Alcune di loro si limitavano ad eccepire flebilmente, quasi rassegnate.
Io ormai ero una delle vittime designate; mi trovavo all’improvviso spiaccicata come una mosca contro il vetro, spinta da tutte le parti e sottoposta ad attacchi erotici di una ferocia e bestialità inusuali; tali a tal punto da farmi pensare che fossero opera di qualche lupomannaro…..
Fu proprio lì, nel bus, che capii ,dopo certe frequentazioni con i soliti noti , che i bambini non nascono sotto i cavoli…
Quando poi tornavo a casa, pallida , sudata e stravolta, papà urlava:”Mio Dio che è successo?”.
Ed io gli raccontavo che, come al solito avevo aspettato il numero sei per oltre un’ora sotto un sole impietoso. Evitavo ovviamente di raccontargli quel che mi accadeva durante il tragitto, però provvidi prontamente a comprarmi una panciera molto spessa onde evitare che le mani vogliose degli esagitati osassero andare oltre il consentito.
Ma…. come se non bastasse, spesso e volentieri tornavo a casa senza soldi, quei pochi che mi servivano per un pezzo di focaccia o un panino.
Ogni volta con particolare cura li nascondevo nel reggiseno….del resto, quel mio seno abbondante a qualcosa pur doveva servire; ma , nonostante ciò, gli assatanati riuscivano a sfilarmeli durante i furiosi strattonamenti e, così, ero sia cornuta che gabbata.
Mi sorse poi un dubbio: ma mi tastavano perché mi trovavano attraente o lo facevano solo per mero danaro o univano l’utile al dilettevole?
Non lo saprò mai.


*


Patrizio lo sa già che lo psichiatra gli scriverà la diagnosi di schizofrenia, che lo imbottirà di pastiglie antipsicotiche, gli raccomanderà uno psicoterapia per tutta la vita, sarà gentilissimo con lui come tutti gli specialisti che sanno di avere un nuovo paziente in ostaggio per sempre. 
-
Fin qui niente di nuovo nella sua vita. 
Patrizio, però, è certo di sentire quelle voci provenire dallo specchio sopratutto di notte, ma anche di giorno. 
-
Gli è sempre successo da quando bambino lo chiamavano “strano” è che a lui sono tanto famigliari e non gli fanno paura. 
Lo psicopatologo lo guarda con quella fasulla empatia che serve per proteggerlo dalle emozioni, ma Patrizio lo sa che sia cosi e glielo dice chiaramente e con quel bellissimo sorriso che si ritrova gli dice anche di non sforzarsi a essere gentile, gli è capitato raramente qualcuno fosse gentile con lui in genere per sottometterlo. 
“Sottometterla ?” gli chiede l'esperto di malattie mentali. 
“Si professore” risponde Patrizio “anche sessualmente se questa è la sua domanda vera” 
-
Il luminare si protegge chiudendo le braccia sul petto. E'un uomo sulla sessantina, robusto, con gli occhiali spessi e la barba bianca, capelli radi, ma nell'insieme un bell'uomo. Ha lo studio in una vita un po'nascosto, pare abbia scelto quella sede per riservatezza nei confronti dei pazienti. Il setting è essenziale : stanza bianca, lettino nero, quadri di immagini sacre della religione cattolica alle pareti e in bella vista il diploma di laurea in Medicina con specializzazione in Psichiatria e Psicoterapia.  
Patrizio ricorda quando lo sottomettevano : “Bè sa loro adesso come allora sono quelli normali : sono specialisti come lei adesso : uno è diventato un famoso notaio, l'altro è un illustre pediatra, l'altro ancora conosce sette lingue e io sono quello coerente perche sono sempre quello strano che sento le voci che non esistono” 
“Non ho detto questo” incalza il neurologo.
Patrizio ride a crepapelle, si scusa, ma è piu forte di lui. 
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Vede chiaramente la situazione e non ne ha paura. 
“Vede ha sempre fatto comodo che io sia quello strano per giocare un po'con me, ma io sono rimasto il matto e loro hanno fatto carriere lusinghiere in società del resto già allora non mi credevano perche erano ragazzi cosi a modo, ottimi voti a scuola e non saltavano una messa la domenica”
La settimana dopo la situazione non è cambiata. 
Il professore è seduto a fianco a Patrizio steso nel lettino e nelle libere associazioni escono tante parole e tutte iniziano con la lettera “S” : silenzio, spiaggia, sogno, serenità, socialità, sesso, stupro.
“Fermiamoci su queste parole” dice il neurologo : “Cerchiamo di capire se è in grado di spiegarmele” 
Patrizio si siede sul lettino, scuotendo il capo in silenzio chiudendosi in un mutismo teso. 
“Cosa le è preso adesso ? Ancora le voci ?”
“No niente voci, non sono invadenti loro : semplicemente mi da molto fastidio quando mi si dice se sono in grado di capire”
“Ma no, signor Patrizio, non lo prenda come un giudizio, qui non ci sono giudizi morali” 
“Signor Patrizio ? Non mi si chiama cosi da quando mi si metteva in cerchio per farmi la pipi contro. Qui da lei non ci sono cosa ?”
“Giudizi morali”
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“Allora, dottore, cerchiamo di capire se lei è in grado di spiegarmi perchè io sono matto e lei e quelli sono quelli sani”
Scende un lungo silenzio. 
Per fortuna (per l'analista) anche questa seduta è terminata.
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Patrizio torna a casa. Si ferma a prendersi un panino e una birra al chiosco dai due suoi amici che si amano a dispetto dei perbenisti del paese e lui vuole tanto bene loro. Patrizio vive da solo con un gatto in un condominio di fantasmi. Tutti sanno tutto di tutti, ma se hai bisogno di qualcosa non trovi nessuno. Patrizio ha una bella voce baritonale e canta le arie della lirica in particolare ama Puccini. Lui dice che faccia parte di un coro (“il coro che ho dentro”) perche sia che lui taccia che lui canti le voci che sente gli fanno compagnia. E'una sensazione bellissima, peccato non tutti la possano vivere. 
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E' fortunato. Prima di addormentarsi gli piace guardare il cielo stellato e gli piace accarezzare il gatto. Tutte le notti sogna sua mamma, vestita di bianco. Patrizio è difficile negli innamoramenti, si fa troppe domande. Gli ha detto l'analista sia anche questa patologia “Paranoia, diffidenza eccessiva”. 
“Sa, professore, io vorrei capire che cosa non sia patologia, poi vorrei capire perche se io ho una domanda lei non mi risponde e infine vorrei capire perche lei mi dice che io abbia ragione intanto mi imbottisce di pastiglie che mi annullano desideri e dice che dobbiamo fare un percorso insieme”
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E cosi seduta dopo seduta passano gli anni. Le voci non si sono mai zittite. Patrizio ha deciso quella di giovedi sarà l'ultima seduta. Nella registrazione che fa ascoltare allo psichiatra ci sono tante voci. 
“Sente ? Il coro che ho dentro”_


*


Scendono prima le rose dal treno
Nel loro vestito d’argento
Rosse di vergogna per l’ignobile messa in scena.
Gli amanti a gettone, invece, restano dietro,
come in posa distratta in terza o quarta fila nella foto di fine anno alle Medie
Piccoli uomini e donne giganti a cui oggi non sei in grado di associare né un nome né un volto.
Sul binario nove le coppie di fatto si svegliano dal loro letargo artificiale e rimangono avvinghiate da baci freddi. 
Il gloss volumizzante sulle labbra di lei a decodificare un "andremo a letto" parlano dell’attenzione. 
La rosa, al contrario, non nasconde il suo stato d’animo.  
E’ insofferente, sbuffa, ha meno pazienza degli uomini e delle donne in amore e rapidamente cambia colore. 
Assume una sfumatura, diciamo pure nuance, del tutto simile al pallore ospedaliero di chi rimane colpito da una notizia ferale come quella di dover vivere o sopravvivere trenta e più anni insieme a uno sconosciuto. 
L’uomo, allora, prende l’iniziativa e si infila la rosa tra le ginocchia. 
Lui sa perfettamente che non c’è nulla di erotico in quel gesto. 
Però gli sembra sgarbato gettarla per terra e questa cosa assomiglia all’amore.
Un domani potrà dire che anche lui ha amato, è stato un momento di debolezza.
E’ legale scommettere sulla fine di un amore .
Non è vero che la paura tiene lontane le persone,
Al contrario le unisce.
Fino alla prossima solitudine
Da esporre con fierezza
Nella bacheca dei ricordi_


*



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